Testi di Patrizia Laquale
Foto di Eleonora Giammarini
La Puglia è una terra ricca di storia e tradizioni che seguono due cicli, quello dei campi e quello delle feste, perché nascono da due grandi culture che si intrecciano: quella contadina e quella cristiana.
Ecco perché il Natale in Puglia è atteso con gioia da tutti: come il calendario segna i giorni che passano, la fine dei lavori nei campi, un tempo di attesa e riposo che va festeggiato a tavola.
Le tradizioni popolari natalizie, come ogni cosa che viene tramandata, si ricollegano a tempi antichi e a ricette di famiglia che rappresentano, dai paesini sui Monti Dauni al Salento, la caratteristica e la peculiarità di un popolo di persone che hanno vissuto intensamente la loro vita creando con il poco che gli era concesso: acqua, farina, miele, ricette semplici e dal grande valore antropologico.
Dietro ogni ricetta si nasconde una storia e una leggenda, come nel caso delle “pettole”.
La loro nascita si deve a una massaia sbadata che, nel giorno di Santa Cecilia, impastò la pasta del suo pane e la lasciò lievitare oltre il tempo necessario, perché fu rapita dalla musica degli zampognari che giravano per le strade della città. Tornata a casa e resasi conto che ormai la pasta non era più utilizzabile, non si scoraggiò e da essa ricavò delle palline che tuffò nell’olio bollente. I suoi figli a tavola rimasero estasiati da queste frittele che lei battezzò “pittule”, come la classica pitta (prodotto tipico della panetteria calabrese), ma in forma più piccola. Felice di questa bontà ne offrì un vassoio agli zampognari. Da quel momento, ogni 22 novembre l’odore di fritto invade le strade di Taranto e segna l’apertura delle feste natalizie.
La leggenda cristiana lega invece la nascita delle “pettole” a Santa Elisabetta che, distratta da una lunga chiacchierata con la Madonna, dimenticò l’impasto del pane settimanale, che crebbe a dismisura. Per recuperarlo non le restò che stracciarlo e tuffare i pezzi di pasta nell’olio bollente.
Forse per questo nel leccese le “pittule” rappresentano il morbido cuscino su cui viene posto il Bambinello.
Dal Salento al Gargano, dalla costa all’entroterra, la pasta fritta è una delle migliori tradizioni della cucina pugliese. Questo grazie sia alla grande produzione di olio sia all’estro delle donne che hanno reso unico un semplice impasto di acqua e farina, arricchendolo con latte, olio e patate lesse e sbizzarrendosi nel condimento con l’aggiunta di miele, zucchero e vin cotto.
Ogni famiglia ha la sua ricetta perfetta, cosi come ogni zona pugliese ha il suo nome per identificare questa soffice nuvola fritta: pìttula, pìttola, pèttola, pèttele, pèttulu, pìttala, pètt-li, ppèttulu, pèttala, e anche pèttuli nel Brindisino, sckattabotte a Noci, pettue nguvatézze, popizze nel barese.
Qualunque sia l’impasto e qualunque sia il nome, sulle tavole pugliesi non mancano mai, segnano l’apertura delle feste natalizie e inaugurano le grandi riunioni di famiglia.
La ricetta:
- 200 g di farina 00
- 800 g di farina di semola
- Sale
- 650 ml di acqua tiepida
- 1 cubetto di lievito di birra
- Olio evo per friggere
- Vino bianco
Sciogliere il lievito in poca acqua tiepida. In una ciotola mettere la farina a fontana, aggiungere il sale e impastare con acqua e lievito. Lavorare a lungo fino ad ottenere una pasta morbida ed elastica. Lasciarla lievitare finché non raddoppia di volume, intingere le mani nel vino bianco, strappare e allungare dei pezzi di pasta e friggerli in abbondante olio bollente.
Il proverbio barese: june ‘mmocche, l’alte ‘mmène, l’ècchje addàu a kalè
una in mano, l’altra in bocca, l’occhio pronto a calare la prossima