di Giovanna Pizzi
“Sila, felice di stupirti”, recitava, tempo fa, uno slogan pubblicitario dell’altopiano calabrese. E la Sila, oggi, è riuscita in quell’intento. Almeno per quel che riguarda i suoi sapori ed il turismo ad essi legato.
Se la Calabria è, in questo momento, la regione più vivace dal punto di vista enogastronomico, la Sila, si può affermare, ne è l’espressione massima. Soprattutto per la voglia di crescere, sotto ogni punto di vista, dei suoi produttori e dei suoi giovani chef emergenti.
Non ci sono solo loro, ovviamente. Il territorio tutto, insieme a molti altri protagonisti e addetti ai lavori, è in ascesa.
Trascinato, certamente, da una ristorazione sempre più di qualità che ha portato alla nascita di nuove piccole realtà imprenditoriali. E sorprende davvero la straordinaria quantità di prodotti che vengono coltivati, allevati, raccolti.
Ce lo racconta proprio Antonio Biafora, uno degli artefici della rinascita gastronomica di queste terre.
“Da qualche anno stiamo creando una piccola rete di produttori d’eccellenza”, dice lo chef del ristorante “Hyle” di San Giovanni in Fiore. “Di grande rilievo è la coltura degli ortaggi, prodotti fenomenali che si riescono a coltivare tutto l’anno e sui quali si sta facendo anche un lavoro di recupero dei semi per selezionare le qualità migliori. Anche nel settore avicolo ci stiamo muovendo: galline, quaglie e faraona. Con le relative uova, manco a dirlo. Ed una voliera per allevare, in loco, i piccioni.”
Si sperimenta, nell’altopiano, anche nel settore caseario, che vuole andare oltre la provola e il caciocavallo, con degli affinamenti in erbe e foglie fatti ad arte.
“Stiamo facendo un gran lavoro anche con il latte di capra - continua Antonio - affinando e producendo formaggi molto particolari e interessanti.
Altro prodotto d’eccellenza è la trota. È stato creato un allevamento con un nuovo incubatore che permette la riproduzione naturale e non intensiva dei pesci, si riesce così ad avere delle uova e delle trote di grande qualità. Piccolissime eccellenze, piccolissimi produttori, ma di grande spessore, soprattutto umano”.
E ci sono anche i frutti rossi che qui, a 1400 metri d’altezza, si riescono a raccogliere alcune volte fino ad ottobre-novembre. Unico caso in Italia, probabilmente. E di questa straordinaria produzione di piccoli frutti ci parla Antonello Alessio, sommelier e patron dell’agriturismo “Cascina di Fiore” che gestisce, sempre a San Giovanni in Fiore, assieme al fratello, lo chef Michele. Ecco allora che prende piede in maniera considerevole il mercato delle “tardizie”. Fragole e fragoline, mirtilli, lamponi e ribes che arrivano sul mercato dopo tutti gli altri creando, di fatto, un piccolo monopolio silano. Su questa scia anche gli altri ortaggi, coltivati sia in campo aperto che in serra e spesso in biologico, come le zucchine o i pomodorini o i cipollotti.
“Vedo grande fermento”, sottolinea Antonello. Dovuto probabilmente anche all’attenzione e al ritorno del turismo dalle regioni del nord Italia e dalle vicine Puglia, Sicilia e Basilicata. Viaggiatori che scelgono la Sila e la Calabria per respirare l’aria “più salubre d’Europa” e per mangiare bene. C’è una riscoperta di tutto ciò che è “naturalità”, per usare a prestito le sue parole, e dell’immediatezza del “territorio” nel piatto, oltre che della semplicità. La Sila è ormai un concetto, prima ancora che un brand. E i giovani chef, spesso autodidatti e innamorati della propria terra, lo stanno mettendo a tavola. Azzerare le distanze tra produttore e consumatore? It’s possible. È questo, dunque, il segnale di rinascita. I ristoratori adesso hanno maturato anche maggiore esperienza e consapevolezza. Le nuove leve, seppur autodidatte, crescono in un “habitat” straordinario ed hanno modo di formarsi “sul campo”.
Guai a ridurre il pensiero alla salsiccia, piccante o dolce che sia! Oppure al caciocavallo o ai funghi ed alle patate. No, la Sila oggi è molto, molto, di più.
Facciamo altri esempi interessanti e di visione: la trasformazione dei prodotti ed il confezionamento del selvatico e delle erbe spontanee che (ancora) manca ma su cui si vuole e si potrebbe investire. O di tutti quei “miracoli” del sotto bosco che finalmente sono ritenuti ricchezza.
“Il bosco? È un supermercato per noi”, racconta infatti Noemi Guzzo. Compagna di Alfredo Martire che, insieme ad Antonio Morrone, Rita e Maria è l’anima della carne nel suo “Brillo Parlante”, braceria ma anche sorprendente birrificio di montagna, a Lorica, nella Sila Grande.
Nel bosco si trovano tutta una serie di erbe officinali oltre che erbette e fiori utilizzati dai cuochi della zona per arricchire e conferire identità alle loro creazioni. Anche durante questa chiacchierata si pone l’accento sulle nuove produzioni di nicchia che hanno arricchito l’offerta del gusto di questa meravigliosa montagna. Ed ecco che la frutta viene trasformata in marmellate e si arriva a produrre anche lo yogurt o il gelato della Sila.
Produzioni di nicchia che hanno comunque affiancato quelle tradizionali. Anzi si può dire che le produzioni tipiche, come quelle dei salumi, si sono ampliate e hanno subito in alcuni casi delle specializzazioni, si è passati da piccole produzioni più rustiche a medie produzioni di qualità più alta. E se di tradizione vogliamo parlare, nel piatto immancabili sono le patate ‘mpacchiuse o il caciocavallo silano alla piastra o ancora la classica “pasta alla pecoraia” con ricotta e salsiccia.
E non manca lo street food con il tipico panino silano con salsiccia, caciocavallo e funghi porcini, che vengono trasformati e confezionati sott’olio, né tantomeno una proposta originale come l’hamburger di trota.
Funghi? Ovviamente anche essiccati o freschi quando il bosco li regala.
E nel bicchiere? Il Brillo Parlante produce sei tipologie di birra artigianale utilizzando prodotti del territorio, compresa l’acqua, importantissima e purissima di queste terre. Qualcuno sta provando a fare vino a 1300 metri d’altezza, e qualcun altro sta spumantizzando, ma se proprio vogliamo ritrovare l’essenza della Sila sotto forma liquida lo dobbiamo fare sorseggiando un amaro fatto con le sue erbe e i suoi semi, oppure uno straordinario liquore a base di rarissimo “anice nero silano” e, per non farsi mancare nulla, un gin torbato ottenuto bruciando ginepro di bassa quota con torba proveniente dalla Sila. In mezzo a tutto questo tanta sinergia, tra tutti gli operatori del territorio, guide del Parco Nazionale della Sila comprese, che organizzano trekking enogastronomici ed offrono colazioni a chilometro zero, oltre che pranzi o cene nell’orto.
L’immancabile pitta ‘mpigliata va oltre la semplice tutela del territorio. È anche identità. La patata, che è Igp dopo mille sforzi, ha raggiunto i mercati nazionali e la grande distribuzione. E non è un segnale da poco perché comunque crea mercato. Ed è anche trasformata in originali patatine in busta, semplici o aromatizzate alla Cipolla di Tropea. Dal turismo mordi e fuggi si va verso un’idea di ospitalità e ristorazione più consapevole e ancorata al mix natura-materia prima.
Il “famoso” treno della Sila, uno storico treno a vapore degli inizi del secolo scorso perfettamente rimesso in funzione, non è allora soltanto quel meraviglioso “ciuf ciuf” che negli ultimi anni raccoglie turisti e consensi ma anche “la” possibilità che qui si può, si deve e si fa turismo. Sempre. Le generazioni di pastori schierati nella tradizione della transumanza sono sempre lì, presenti. Intorno a loro un nuovo mondo che però vuole rimanere ancorato a quei sapori. Ed ai tanti loro saperi. Questa è la Sila, felice di stupire.
La Patata della Sila Igp
La Patata è uno dei prodotti tipici silani a denominazione d'origine che negli ultimi anni, dalla Calabria, ha conquistato i mercati nazionali e la grande distribuzione. Uno stabilimento nuovissimo, investimenti in comunicazione, colture moderne e numeri importanti per questo tubero che ha un forte legame culturale e storico con l'Altopiano Silano. Impiegata in numerose ricette tipiche della tradizione gastronomica locale, come "pasta patate e uova" o le "patate 'mpacchiuse" ha conquistato il marchio europeo Igp nel 2012 ma i primi riferimenti alla coltivazione della patata in Sila si trovano addirittura nella Statistica del Regno di Napoli del 1811. La zona di produzione, a 1200 metri d'altezza, comprende i comuni silani della provincia di Cosenza e alcune zone di quella di Catanzaro. La sua principale caratteristica è quella di avere una percentuale di amido superiore alla media che la rende più nutriente e soprattutto più saporita rispetto alle altre patate italiane. Provarla in frittura per credere! A conferirle caratteristiche uniche concorrono i terreni ricchi di potassio, l’irrigazione con acqua di sorgente e un microclima con forti escursioni termiche. Ha forma variabile dal tondo all’ovale allungato, la buccia, gialla o rossa, è consistente così come la polpa e può essere a pasta bianca o gialla a seconda della varietà. È in commercio da ottobre a marzo e si conserva fino a otto mesi se mantenuta al buio e a temperatura ambiente.
La Dop della Sila: il Caciocavallo Silano
Il Caciocavallo Silano è uno dei formaggi simbolo della Calabria, diretto discendente della provola silana, morbida e fresca. Leggenda vuole che il nome derivi dalla tradizione di appendere i formaggi, legati ad un legaccio, a due a due su delle pertiche di legno, quindi “caso a cavallo” che diventa “caciocavallo”. È un formaggio a pasta filata, semicotto, prodotto esclusivamente con latte di vacca, crudo o termizzato. La produzione prevede l’aggiunta di fermenti lattici, naturali o selezionati, o di siero-innesti necessari ad acidificare e formare la cagliata che, fatta riposare, si rompe in parti della dimensione di una nocciola che vengono raccolte e lasciate fermentare. La pasta, che lievita naturalmente per 12-24 ore, viene poi affettata e immersa in acqua quasi bollente per essere filata e modellata fino alla forma caratteristica. Il formaggio così ottenuto si immerge in acqua fredda quindi in salamoia e infine si fa stagionare. Le forme caratteristiche del caciocavallo sono due, quella troncoconica, o ovale, e quella arrotondata, con o senza la classica testina. Nel 1993 è stata riconosciuta la denominazione d'origine "Caciocavallo Silano Dop" con la quale (forse nota un po' dolente per i calabresi) si indicano formaggi che possono essere prodotti in aree specifiche, oltre che della Sila ovvero della Calabria, anche della Basilicata, Campania, Puglia e Molise, riconoscibili dal timbro a fuoco.