di Carmen Autuori
È una storia di famiglia (e d’impresa) che si intreccia con quella di un prodotto, antico e prezioso, tutto campano: la patata ricciona di Napoli, tubero a pasta bianca dalla buccia gialla. Non ha la perfezione a cui siamo ormai assuefatti, anzi. Il nome le deriva propria dalla forma piuttosto irregolare, ricca di protuberanze che in gergo si chiamano occhi. I quattro fratelli D’Aniello, titolari dell’Azienda Agricola F.lli D’Aniello, nonché soci di punta della OP Campania Patate composta da cinquanta produttori campani distribuiti tra Napoli, Caserta e Salerno per un totale di 50 ettari coltivati, oltre a produttori abruzzesi e calabresi, sono cresciuti a pane e ricciona. La sede dell’azienda è in un capannone come tanti nella fertile Piana del Sele, a rappresentare l’immagine di imprenditori che hanno rivoluzionato nell’arco di poco più di un ventennio il territorio, rendendolo una culla di eccellenze. Ad accogliermi sul muletto, Antonio D’Aniello, uno dei quattro fratelli, il veterano dell’azienda. È un fiume in piena, senza attendere alcuna domanda, mi sommerge di parole con la sua storia che va a braccetto con la ricciona.
“Tutto ha inizio da quella motocicletta, la Pegaso rossa di mio nonno. L’ho fatta rimettere a nuovo perché deve stare lì, all’ingresso, per ricordarci da dove veniamo e quanta strada abbiamo fatto per arrivare fin qui”.
Arrivano da Angri i D’Aniello, a metà degli anni Settanta, dove da sempre sono stati impegnati nella coltivazione della patata, proprio la ricciona, che da tempo immemorabile ha trovato casa nei terreni sabbiosi dell’agro.
“Quando siamo arrivati nella Piana del Sele, queste terre erano vocate a tutt’altro tipo di produzioni, nessuno coltivava patate ma noi per tradizione eravamo specializzati proprio in quel settore ed allora abbiamo tentato di portare la nostra specialità in questi luoghi anche perché i lotti di terreno di nostra proprietà erano tendenzialmente sabbiosi, come quelli dell’Agro, essendo vicinissimi al mare. Ovviamente abbiamo piantato varietà provenienti dal seme olandese, perché la ricciona, una patata a polpa semi soda, ormai dagli anni ‘50 era sparita dai nostri campi”, spiega Antonio.
Questa tipologia di patata era stata rimpiazzata da altre cultivar poiché offrivano sia un miglior aspetto morfologico ai tuberi sia una maggiore precocità di maturazione che consentiva raccolte anticipate e dunque economicamente più interessanti.
Ad onor del vero oggi la Campania continua ad essere il primo produttore nazionale di patate con una offerta che si attesta sui 2,5 milioni di quintali anche se è poco comunicato, a differenza dell’Emilia Romagna che ne produce circa 1 milione.
La chiave di volta per superare queste false percezioni del mercato è l’associazionismo e l’ha compreso molto bene Giuseppe D’Aniello, un altro dei fratelli nonché presidente della OP Campania Patate, che nel 2009 insieme ad un gruppo di cooperative di produttori campani si è fatto artefice dell’organizzazione grazie ad un processo che, partendo dal basso, ha portato Campania Patate ad essere tra le 5 OP presenti in Campania.
Ma la scomparsa dell’antica ricciona rimane sempre uno dei crucci della famiglia, una sorta di madeleine di proustiana memoria, tanto da ricorrere, nel 2004 ad un centro d’eccellenza mondiale il SASA (Science and Advice for Scottish Agricolture), un ente governativo per la custodia di vecchie varietà vegetali. Portano in Scozia un certo quantitativo di ricciona selvatica rinvenuto sui Monti Lattari dove i tecnici scozzesi, lavorando sul genoma del tubero, lo hanno ripulito e così già dal 2011 questa patata davvero speciale è tornata sulle tavole degli italiani.
“Ritrovata la nostra ricciona siamo voluti andare oltre. Non ci bastava più produrre solo patate tradizionali sebbene biologiche, per intenderci quelle ‘adatte a tutti gli usi’, come spesso si trova scritto sulle confezioni al supermercato, – spiega Giuseppe D’Aniello – non esiste una patata che va bene, ad esempio, per la frittura e per la pasta e patate. Ed ecco che entra in gioco la destinazione d’uso”.
Ed è proprio intorno a questo concetto che si sviluppa da un po’ di anni a questa parte la ricerca e la sperimentazione dei D’Aniello. Una vera e propria filosofia che accompagna il consumatore dall’acquisto alla realizzazione del piatto.
Secondo il presidente ogni patata deve essere catalogata in base ad uno schema che tiene conto della percentuale di prodotto secco: più alta è la percentuale più essa è adatta alla frittura e viceversa. Lo schema attraverso il quale vanno classificate le patate si compone di quattro punti denominati A,B,C,D. Nel primo rientrano le patate da fare lesse o al forno, nel secondo quelle a pasta semi-soda ad esempio la ricciona adatta (anche) alla frittura, nel terzo quelle specifiche per la frittura e nel quarto, ad alta percentuale di sostanza secca, quelle destinate alla trasformazione industriale come la fecola.
Lo scoglio da superare era, a questo punto, quello di educare il consumatore ad un acquisto mirato all’uso, in altre parole era necessario dare il “nome” ad ogni singola tipologia, la cosiddetta destinazione d’uso, mentre il “cognome” è dato dal seme di provenienza, per la maggior parte olandese, e soprattutto far passare questo messaggio alla grande distribuzione. Questo compito viene affidato al responsabile commerciale per l’OP Campania Patate Antonio Galeota, che da oltre quaranta anni s’interessa di vendite per la grande distribuzione. “Conoscevo Giuseppe da tempo e ne ho sempre apprezzato la grande professionalità.
La storia del recupero della ricciona di Napoli mi aveva, poi, particolarmente incuriosito ed appassionato, – illustra Galeota - erano quelli gli anni in cui si andavano diffondendo le patatinerie ed alcune di esse erano alla ricerca di tuberi freschi. Noi avevamo il seme adatto alla coltivazione di patate di tipo ‘C’, dunque ad alto residuo secco, adatte esclusivamente per la frittura. Nasce così la Crisps4all”.
La caratteristica peculiare di questo tipo di patate è che non assorbe olio durante la frittura, non imbrunisce perché non sviluppa acrilammide una sostanza altamente tossica, rimanendo croccante fuori e morbida dentro. Il prodotto riesce a penetrare abbastanza rapidamente in importanti catene di distribuzione grazie alla richiesta dei consumatori che richiedevano quel prodotto specifico.
“La mia lunga esperienza nella GDO mi ha portato nel corso degli anni ad instaurare rapporti, anche di amicizia, con molti ristoratori a cui ho proposto il prodotto che ne sono stati entusiasti - prosegue Galeota - tanto che il settore Horeca ad oggi assorbe circa l’80% della produzione”. Visto il grande successo delle Crisps4All, oggi l’OP continuando quel percorso di ricerca che è stato alla base del suo successo, si presenta sul mercato con due nuove varietà: le Crock4All e le Talentine. Le prime sono patate rosse a pasta gialla particolarmente adatte alla preparazione dei crocchè e del gattò, due capisaldi della cultura gastronomica campana che richiedono una materia prima specifica le cui caratteristiche rientrano nella tipologia “B”. Vengono distribuite in box di cartone da 12 kg e sono destinate al settore Horeca. Le Talentine, ultime nate in casa Campania Patate, rientrano invece nella categoria “A”.
Con un basso residuo secco, sono adatte per l’insalata, per le cotture a vapore che ne mantengono sia i principi nutrizionali che il gusto, ma danno il meglio di sé al forno sia da sole che in accompagnamento a carni o pesce. Sono vendute in confezioni da 1,5 kg per la grande distribuzione e da 5 kg per l’Horeca. Il packaging, particolarmente elegante nella forma e nel colore (vi è raffigurato uno chef), ne anticipa una destinazione d’uso di nicchia, possiamo definirla una patata gourmet. E la ricciona, il motore che ha alimentato tutto ciò? Mantiene sempre una buona posizione sul mercato essendo piuttosto versatile ma, soprattutto, rimane nel cuore (e nel piatto) della famiglia D’Aniello.
Pasta, patate ricciona e provola
di Paola D’Aniello
Ingredienti per 4 persone
- 320 g di pasta mista corta
- 800 g di patate ricciona
- 40 ml di olio evo
- 200 g di provola
- 100 g di pancetta
- 5 o 6 pomodorini del piennolo
- Basilico 1 costa di sedano
- 1 cipolla bianca
- 1 spicchio di aglio
- Parmigiano reggiano
- Pepe nero
- Sale
Procedimento
Soffriggere in una pentola piuttosto profonda ed in olio evo la cipolla con il sedano e l’aglio tritato. Far imbiondire ed aggiungere le patate tagliate a pezzi regolari.
Unire la pancetta tagliata a sua volta a tocchetti. A metà cottura delle patate aggiungere i pomodorini tagliati a pezzi che serviranno solo per dare un po’ di colore al piatto, sale, pepe e continuare la cottura mescolando. Allungare con acqua calda nel quantitativo necessario per cuocervi la pasta.
Spegnere il fuoco quando la pasta è ancora al dente, aggiungere la provola tagliata a tocchetti e mescolare fino a che sarà sciolta. Aggiungere il parmigiano e servire irrorando con un filo di evo.