Testi e foto di Michele Poligneri
“Non potete ignorare un paese che possiede ben 265 varietà di formaggio”. Così il generale Charles De Gaulle impetrava al mondo l’importanza della sua nazione; in Italia siamo oggi a 539 formaggi censiti. Ma ogni eccesso deve essere moderato in campo agricolo, un settore cioè che ha marcato per troppo tempo assenza di una regia “lattiero-casearia” che ha poi determinato una pletora di tipicità inventate aprendo in tal modo la strada alla famosa frase di Carlo V che, per sedare i malcontenti del popolo di Alghero ansiosi di farsi attribuire l’ambito titolo di Cavaliere (ognuno a discapito degli altri), tuonò con un «Estad todos caballeros», siate tutti cavalieri. Una prolificità di questo tipo, in verità, fa torto sia al titolo di Cavaliere, come alla cultura agricola tricolore che invece ha generato nel tempo pillole di sapienzialità contadina tradotte mirabilmente in ricette, elaborazioni di prodotto, propagazioni e fusioni di competenze umane oltre che di comunicazione dei luoghi, degli stili di vita che nulla hanno a che fare con la gemmazione dei titoli. La provincia italiana e le sue produzioni agro zootecniche hanno rappresentato dalla metà del secolo scorso, contribuendovi in modo esemplare, una parte importante del serbatoio calorico e nutrizionale passato alla storia come Dieta Mediterranea, e la Puglia incarna tutto questo inducendoci a comprendere come le produzioni pastorali lattiero casearie abbiano contribuito al sostentamento del desco in un regime alimentare di assoluta morigeratezza, di un popolo “pastore”, spesso transumante. Va da sé, pertanto, che ogni riferimento al codice produttivo lattiero caseario pugliese, è figlio della crescita e sviluppo sociale dei suoi abitanti, dei metodi di trasformazione dei prodotti a base di latte e della conoscenza delle peculiarità di allevamento su un suolo agricolo sano, fondamentale per corrispondere a quei prodotti qualità sanitarie e nutrizionali, che mani esperte di casari e di cuochi-cucinieri urbani, allenate da secoli di pratica alimentare, trasformano in prodotti di elevata portata edonistica.
1) La Mozzarella Artigianale (vaccina e bufalina) a Coagulazione Naturale Come segnalato a più riprese sia da tecnologi, da nutrizionisti esperti in processi di trasformazione del cibo, da medici veterinari igienisti degli alimenti, la filatura della pasta ottenuta dalla coagulazione naturale del latte mediante uso di caglio e fermenti del siero (sieroinnesto, escludendo sia il ricorso all’acido citrico che alla delattosazione artificiale), riconosce metodi consolidati di lavorazione rinvenienti da tecniche dedicate alla produzione di formaggi di grande evoluzione come il caciocavallo e la scamorza; questi erano destinati alla stagionatura sia per il consumo da tavola che per usi svariati in cucina e da grattugia. La mozzarella contiene invece una quantità di acqua pari al 50% e più del suo peso, pur rimanendo un formaggio la cui percentuale di grasso, ope legis, viene calcolata sul residuo secco e non sul tal quale.
2) Scamorza e caciocavallo Sono queste le filature che hanno generato la grande tradizione casearia pugliese; semistagionati per uso in cucina, stagionati e stravecchi, vengono ottenuti dalla prolungata esposizione della cagliata all’attività fermentativa dei lattobacilli mediante sosta per un numero di ore variabile su banchi di acciaio e protetta da un telo igienico e, pertanto, naturalmente delattosati. Una importante conferma gusto olfattiva della lavorazione artigianale, la si trova nella scamorza fresca, come fosse una mozzarella di bufala.
3) Ricotta vaccina, ricotta di pecora, ricotta podolica Non è un formaggio la semplice ricotta vaccina perché ottenuto dal siero che residua dalla coagulazione del latte per la produzione giornaliera di formaggio, eppure esprime un valore biologico altissimo, più del formaggio stesso, pari quasi a quello delle uova che è l’alimento completo per eccellenza. Si ottiene dunque dalle sole lattoalbumine residue (della cagliata precedentemente raccolta), mediante surriscaldamento del liquido, tipicamente di colore giallo verdino per la elevata concentrazione di Riboflavina (Vit.B2), a temperature utili alla coagulazione desiderata. I prodotti realizzati a partire da siero di pecorino o di caciocavallo podolico riconoscono, invece, una preparazione “arricchita” da una percentuale di latte (25%), diventando così formaggio a tutti gli effetti.
4) Formaggio pecorino o canestrato È questo il formaggio che incarna, insieme al caciocavallo, la vocazione pastorale di Puglia. Leccese, Comisana, Gentile di Puglia, Altamurana e Sarda sono le razze che ne alimentano la produzione. Primo sale, giuncata, Fallone di Gravina sono il canestrato appena formato. Il cacioricotta Nei mesi estivi per via delle frequenti alterazioni delle normali vie di fermentazione causate dalle elevate temperature, i casari rurali solevano produrlo come formaggio fresco da insalata o stagionato da grattugia.
5) Ricotta dura Normalmente prodotto da siero di latte ovino, è una vera peculiarità del territorio dell’Alta Murgia, Minervino, Andria e Gravina in testa. Da grattugia sui vari tipi di minestre di verdure e di pastasciutte.
6) Caciocavallo podolico Per essere munte le vacche podoliche necessitano della presenza del loro vitello che succhierà parte del latte presente nella mammella contemporaneamente al mungitore che potrà, solo cosi, ottenere la montata lattea per quei pochi litri di latte da caseificare. Forti camminatori, una gioia ed uno spettacolo vederle attraversare i borghi durante la monticazione e demonticazione.
7) La burrata Nasce per vocazione dei casari di Andria, che idearono un prodotto intermedio tra mozzarella, stracciata e mantèca. La stracciata derivata dalla riduzione in sfilacci della pasta di mozzarella filata stessa, viene affogata in un governo di panna pastorizzata.
8) La mantèca Analoga alla burrata nella forma, ma riempita con il prodotto ottenuto della mantecatura manuale della ricotta podolica o di pecora.
9) I formaggi caprini Grande è stata l’evoluzione di questo settore che stentava ad affermarsi in passato. Oggi, grazie anche ad un importante apporto offerto da una tecnica casearia più raffinata, può vantare prodotti freschi ottenuti da latte di questa specie analoghi, per finezza stilistica, ai migliori caprini dell’Alta Savoia o piemontesi.
Questa è la Puglia casearia.
La ricetta
Polpette di pecora con doppia impanatura
dell’agrichef Donato Mercadante, Masseria a calcara - Altamura
Ingredienti per 4 persone
- 400 g di polpa di pecora ben sgrassata
- 100 g di pecorino grattugiato
- 5 g di sale
- 250 g di mollica di pane raffermo
- 1 tuorlo d'uovo
- 500 g di crosta di pane grattugiato e tostato
- 1 l di salsa di pomodoro al rosmarino
- 500 ml di fonduta di pecorino
- Noce moscata
Procedimento
Nel mentre la salsa al rosmarino cuoce, le polpette ottenute dai vari ingredienti indicati vengono fritte, dopo il passaggio in uova sbattute, panatura di pane reso croccante dalla tostatura.
Si prepara, poi, la fonduta di pecorino aggiungendo la noce moscata. Versare sulla base del piatto la salsa al rosmarino, adagiare le polpette ed infine colare in abbondanza la fonduta di pecorino.