Silvia Imparato: la signora in rosso

Silvia Imparato: la signora in rosso

di Claudia Bonasi

 

Il Montevetrano, vino dal successo straordinario che ha aperto la strada al rispetto dei rossi del Sud Italia nel panorama vinicolo nazionale, deve la sua affermazione alla caparbietà di una donna – Silvia Imparato - che da 27 anni, senza battere ciglio, porta avanti una scommessa vincente nata quasi per gioco. Ma da dove le viene tanta determinazione e perché questa scelta del vino? Il padre industriale (importava legnami esotici), la madre una D'Agostino, della nota fabbrica di ceramica, era una ragazza della buona borghesia con un destino segnato dalla classica linea retta: famiglia, studi, matrimonio, figli, che avrebbe dovuto seguire pedissequamente, obbediente alle regole. Ma gli studi in collegio in tenerissima età (a 9 anni in Svizzera e a 13 a Roma all'Assunzione) hanno dato una svolta al carattere di questa donna, che fin da piccola ha dovuto affrontare il rigore di regole troppo dure per lei.

"Ho sofferto molto, sono una persona sentimentale ed ero davvero piccola, ma è stato stupefacente quanto la paura di lasciare i miei genitori abbia lasciato presto il posto alla gioia di conoscere tanti ragazzini di culture diverse. Del collegio a Roma ricordo le luci cupe, gli incontri 'ingessati' con mio padre in parlatorio, ma era anche un luogo di educazione prestigioso: Grace Kelly era nello stesso tipo di istituto in America e ci veniva a trovare", racconta ricordando gli anni dell'adolescenza.

"Studiare per me è stato molto difficile, avevo molta fantasia e poca concentrazione, ho frequentato poi il Saint Dominique sulla Salaria, un collegio francese, sempre di suore, ma con una mentalità completamente diversa, aperta".

A 20 anni il matrimonio scelto quasi come una sfida ("la persona più sbagliata che potessi sposare, ma ho avuto Gaia e questo mi ha permesso di capire immediatamente che non sarei mai rimasta"). Sono seguiti anni di illuminazioni ("leggevo con passione Basaglia e De Martino, la mente umana, l'antropologia mi affascinavano"), poi il trasferimento a Roma.

Quando Gaia era dal padre, Silvia viaggiava: erano gli anni Settanta, un viaggio in Perù e poi in Amazzonia, tra gli indios, in compagnia di una macchina fotografica che le ha fatto scoprire un talento innato: pubblica le immagini sulle riviste Epoca, Brava, Amica, Elle.

"Iniziai poi a fare ritratti di scrittori in Francia, aprii uno studio a Roma. Un giorno fotografo un americano che mi parla del vino che è la sua passione e capisco che il vino non ha nulla a che fare con la bottiglia e con il bicchiere. Resto sedotta da questo racconto e lo riallaccio a questa proprietà, Montevetrano, a San Cipriano, nel cuore dei Picentini, lasciata dai nonni e capisco che fare vino qui potrebbe essere una cosa vitale, non uno sguardo al passato ma al presente e al futuro. L'enoteca Roffi Isabelli in via della Croce a Roma è un cenacolo intellettuale dove, alle riunioni del giovedì nell'Italia degli anni '80, inizia la vera cultura del vino, venivano grossi personaggi che portavano vecchie cuvée. Uno dei ragazzi di allora era Daniele Cernilli, artefice del Gambero Rosso, un altro Luca Maroni… ho messo a fuoco che io veramente volevo fare il vino a Montevetrano. Del gruppo faceva parte anche Renzo Cotarella, che però lavorava solo per Antinori, e dunque mi presentò il fratello Riccardo, che allora faceva solo tre vini in Umbria. Gli ho detto: facciamo il più grande vino del mondo o per me non ha senso".

E così è stato. Robert Parker, il più famoso "wine advocate" del mondo a cui Silvia mandò i campioni del vino scrisse: "È nato il Sassicaia del Sud, il Montevetrano".

Il successo ottenuto ha fatto uscire l'imprenditrice dall'idea del gioco: ha chiuso lo studio a Roma e si è concentrata su Montevetrano, ispirata dai ruderi del castello che si staglia sulla collina di fronte alla tenuta, che sono lì a significare il valore di quel territorio. Oggi il Montevetrano - prodotto con uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Aglianico - in numeri vuol dire 70mila bottiglie e 5 ettari e mezzo di vigna, ma soprattutto un gradimento a livello internazionale (vende piccole quantità in tutti i Paesi del mondo), che non conosce cedimenti. "Avevamo la fortuna di avere tre famiglie di mezzadri con figli e nipoti che con questa attività che ho messo su hanno potuto scegliere di restare qui. Fanno parte dello staff, il cantiniere è Mimi La Rocca, amico di Gaia fin da bambina, figlio dei nostri coloni, che le ha trasmesso una grande esperienza di campagna. Il resto del gruppo è al femminile, dò molto valore alla parola sorellanza, lavoriamo con serenità ed entusiasmo. Devo molto a Patrizia Marziale che si occupa dell'amministrazione, con cui ho condiviso tutta la storia di Montevetrano, anche Monica Martino che si occupa della nostra segreteria è preziosa. Mia figlia Gaia ha deciso che il suo futuro è qui. È una grafica (è sua la grafica delle etichette del vino), dopo uno stage a New York inizia a lavorare con un grafico milanese, poi entra nello studio di Vignelli, è stata responsabile dell'ufficio grafico da Dolce e Gabbana, e oggi ci ritroviamo tutti qui, insieme ma con le diversità di ognuno: ho fiducia nella vitalità e nelle storie che si incrociano e diventano energia".

E lo spirito positivo non manca a Montevetrano, dove accanto al primo vino lanciato ne nascono altri due: il Core Rosso e il Core Bianco, Aglianico in purezza il primo e Fiano e Greco (50 e 50) il secondo, destinati ad avere un ruolo importante nell'azienda di famiglia. "Perché se un ragazzo invita la fidanzata a cena non deve poter offrire un buon vino come il Core?", si è detta Silvia Imparato quando ha deciso di affiancare le due etichette (le uve sono prodotte nel Beneventano sotto la guida attenta di Cotarella, ma imbottigliate a Montevetrano) al primo nato della casa vinicola Montevetrano.

Ma qual è la giornata tipo di Silvia Imparato? "Alle sei sono in piedi, mi piace molto il silenzio della campagna, sentire gli uccellini, la luce che cambia e lo svolgersi dei pensieri tra me e me mentre innaffio. Seguono nell'ordine il caffè, l'orto, dove Gaia è sempre presente in maniera attiva. Ho poi le degustazioni dalle 10, due annate di Montevetrano, Core bianco e rosso, abbinati a torte salate. Un impegno che dura un paio di ore e più, tra spiegazione nelle vigne e ritorno. Alle 15 riprendo l'ufficio e continuo a lavorare fino alla sera. Ma è una bella vita, sono una persona molto fortunata. Ora inizia una nuova storia con Gaia e io posso pensare che anche se dovrò continuare fino all'ultimo respiro, prima o poi avrò il tempo per inseguire altre cose. Qui sotto c'è la cantina storica dove i contadini facevano il vino: è diventata il posto dove ho l'archivio ma vorrei renderla fruibile ai nostri visitatori. E poi c'è una grande potenzialità di ampliare la vigna, sempre per il Montevetrano: io non penso ad altri vini, ma se mia figlia Gaia vorrà un domani…".

Dopo il quarto di secolo da pochi anni trascorso, quella che sembrava essere una piccola scommessa corre dunque veloce verso altri risultati. Quale sarà il futuro dell'azienda Montevetrano tra dieci anni? La presenza di Gaia, che si è trasferita a Montevetrano con il figlio adolescente Giacomo, da alcuni mesi ("ho sentito che era arrivato il momento giusto") è una garanzia di continuità, un testimone che passerà con naturalezza quando la madre deciderà che è giunto il tempo di dedicarsi a nuove avventure.

"Voglio dare a mia figlia e a tutti i miei collaboratori una situazione solida, ma mi piacerebbe potere avere spazio per seguire le mie curiosità. Mi è sempre piaciuta l'antropologia, vorrei avere il tempo di dedicarmi a questa mia passione che non si è mai sopita".