di Alfonso Sarno
“In cucina non so fare niente neanche un caffè. Sono però un ottimo utilizzatore finale che apprezza i buoni piatti ed il lavoro di chi sta in cucina. Diciamo che so mangiare e do soddisfazione”. Così Maurizio De Giovanni definisce il suo rapporto con i fornelli. Eppure lui, autore cult di noir, da Mina Settembre ai Bastardi di Pizzofalcone e, soprattutto, della serie dedicata a Luigi Alfredo Ricciardi, barone di Malomonte nato a Fortino, frazione di Casaletto Spartano, un piccolo Comune del Cilento e universalmente conosciuto come il commissario Ricciardi in forza alla Regia Questura di Napoli, ha offerto un notevole contributo alla cucina made in Sud. L’ha fatta conoscere a milioni di lettori e di telespettatori che seguono le avventure dell’affascinante/inquieto uomo di legge, apparentemente distaccato da tutto e tutti ma sensibile, sempre dalla parte dei deboli, con pochi amici – il suo braccio destro, il brigadiere Raffaele Maione ed il medico legale fieramente antifascista (i romanzi sono ambientati in quel periodo) Bruno Modo – tormentato dal potere, trasmessogli dalla madre Marta, di percepire l’ultima frase detta o pensata dalle persone vittime di morte violenta.
Mentre la serie prosegue in televisione con uno share altissimo i suoi lettori sono sconvolti dalla sua decisione di non scrivere più romanzi con Ricciardi protagonista…
“Ecco, vorrei chiarire perché credo che le mie parole siano state fraintese. Per la verità io non ho mai detto questo: la sua storia personale continua, ritengo invece concluso il ciclo di lui nelle vesti di commissario. In questo momento non posso e non sono sicuro di cosa succederà nel futuro, ma credo che Ricciardi tornerà in altre vesti”.
Come è nata questa decisione?
“Dalla morte di Rosa Vaglio, la tata. Lei è importante, uno dei personaggi cardine dei romanzi e la sua scomparsa ha significato – come dicevo prima - la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, del tutto nuovo e che, in questo momento, non mi è ancora chiaro e che, credo, con il passare del tempo si svelerà. Come, quando? Non posso fissare delle date, la scrittura ha tempi che sfuggono anche all’autore. Ripeto, Luigi Ricciardi ha ancora molto da dire. È un personaggio dalla mille sfaccettature, introverso, chiuso in se stesso, ha voglia di normalità ma pensa di essere pazzo e riuscirà a trovare un po’ di quiete grazie all’amore della moglie Enrica Colombo che insieme con Rosa costituiscono dei punti fermi che lo ancorano alla realtà e che moriranno lasciandolo solo”.
Parliamo di cucina, soprattutto di quella cilentana immancabilmente preparata da Rosa ed, a volte, quasi subita dall’amato commissario a cui questa ha dedicato la vita.
“Sì, diciamo che a volte la subisce perché la trova, come gli viene presentata, un po’ pesante come nel caso della pasta e cavolfiori, della frittata di maccheroni o della minestra maritata che Rosa prepara bella forte, secondo la ricetta originale. Ma, senza dubbio, la ama perché è espressione della sua terra e della quotidianità accudente della tata, che nei suoi piatti testimonia l’amore per l’uomo che le venne affidato bambino e che per lei è tutto. D’altra parte non potrebbe essere altrimenti: la cucina del Cilento, premiata dall’Unesco con il riconoscimento della Dieta mediterranea, è ricca e variegata e nella sua essenzialità rappresenta una delle migliori espressioni di una alimentazione naturale, che segue i ritmi delle stagioni”.
Qual è la sua cucina del cuore?
“L’amo tutta, non so scegliere. Siamo fortunati perché possiamo godere di una impensabile varietà di piatti e di prodotti. C’è la cucina cilentana, decisamente autoctona e la napoletana ricca ed elaborata, meticcia – araba, spagnola e via dicendo – a causa delle tante occupazioni straniere avute nel corso dei secoli. Tutto questo fa sì che la Campania, ma il Sud in genere, sia una terra fortunata sotto l’aspetto gastronomico per la varietà di piatti ed ingredienti che, poi, partendo dalla stessa ricetta base, si declinano in modi diversi”.
I suoi piatti preferiti?
“Non amo il pesce che non mangio. Mi piacciono la pizza di qualsiasi tipo, margherita, fritta e rustica, i formaggi che non mancano mai in frigorifero. E la carne, preferibilmente argentina”.
Per finire: parliamo del “Gambrinus”, lo storico locale di Napoli sempre presente nelle storie di Ricciardi e dove è iniziata la sua avventura di scrittore.
“È un caffè storico, elegante, che prepara caffè e dolci ottimi. Sì, tutto è partito da un concorso che organizzato dai proprietari: bisognava scrivere un racconto ed i miei amici, per farmi uno scherzo mi iscrissero. Io non l’avevo mai fatto, accettai la sfida ed andai. Mentre stavo lì senza fare niente aspettando che il tempo passasse, vidi una bambina che, da dietro la vetrina, mi fece una boccaccia. Il suo sberleffo, l’atmosfera retrò del locale mi diedero l’idea di scrivere un racconto ambientato negli anni Trenta. Ecco, così è nato il commissario Ricciardi”.