Lejla Mancusi Sorrentino

Lejla Mancusi Sorrentino

di Alfonso Sarno

 

È la signora della cucina napoletana, trait d’union tra la popolare e l’aristocratica, da lei raccontata con passione e filologica competenza, frutto di un attento studio degli scritti di indiscussi maestri quali Vincenzo Corrado, autore de “Il cuoco galante” ed Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino a cui si deve il volume “Cucina teorico pratica”. Entrambi riproposti con successo in edizione da lei curate per Marzio Alfonso Grimaldi, suo storico editore ed amico, ed arricchite dall’introduzione e da un glossario che permette ai lettori di conoscere l’evoluzione della storia del cibo al tempo dei Borbone, quando il regno di Napoli era annoverato tra le più importanti monarchie europee.

Possiamo tranquillamente affermare che ha raccolto il testimone da Jeanne Carola Francesconi, altra grande depositaria della sapienza alimentare napoletana. Come è nato in lei questo interesse?

“Cinque figli ed un marito: mi sono sposata a ventidue anni e quando devi cucinare ogni giorno per una famiglia numerosa, è normale che cerchi di variare il menu settimanale e di accontentare i gusti di tutti che non sempre coincidono. Non era una fatica, lo facevo con piacere: mi ero abbonata a diverse riviste del settore per essere aggiornata e non pensavo affatto a diventare giornalista, a scrivere libri. Ho iniziato a cinquant’anni, quasi per caso, anche perché i miei progetti erano diversi…”

Quali?

“Sono laureata con lode in giurisprudenza alla Federico II e volevo - visto che i figli stavano crescendo e non avevano più un estremo bisogno di una mamma a tempo pieno che cucinasse e facesse d’autista per portarli in palestra, a nuoto, a scuola, dagli amici e via dicendo - fare il concorso per notaio. Mio marito Francesco Sorrentino, medico urologo, appassionato a 360 gradi di tutto quello che è cultura mi sconsigliò. Ed a ragione, i ragazzi avevano bisogno di me e, se avessi vinto il concorso, sicuramente la prima sede non sarebbe stata Napoli e chissà dove sarei finita”.

A quattro mani con suo marito ha scritto anche un libro “Afrodisiaci”, storia dell’eros tra magia, medicina e leggende popolari…

“Sì, è una ulteriore prova della sua curiosità intellettuale…Bene, lasciai stare, pensai che il mio futuro sarebbe stato tutto dedicato alla famiglia quando, quasi per caso, mi fu proposto di occuparmi delle iniziative relative al cibo del quotidiano ‘Il Mattino’. Una bella avventura che mi ha visto impegnata con articoli e ricette nella “CasAgenda” dal 1998 al 2012, ultimo anno di pubblicazione, nella collaborazione con altri giornali, partecipazione a seminari e convegni, organizzazione di corsi di cucina e nell’attività associativa come membro della Consulta, della Delegazione di Napoli-Capri dell’Accademia Italiana della Cucina”.

Ha iniziato tardi ma ha recuperato alla grande visto che è autrice o curatrice di circa quaranta pubblicazioni.

“Sono curiosa e mi piace affrontare i temi più diversi: ho scritto sull’uso dei fiori in cucina dall’antichità ad oggi, sulla storia della caffè e dei maccheroni. Quest’anno mi sono interessata alla birra e, pubblicato recentemente da Grimaldi un volume a lei dedicato con una sessantina di ricette, tutte - dagli antipasti al dessert – a base di luppolo”.

A proposito, cosa pensa della cucina creativa?

“La cucina, in realtà, si evolve di continuo, è il regno della creatività, della fantasia. Premetto questo per farle capire che non sono una fanatica paladina dell’immobilismo ai fornelli. Amo la cucina di tradizione e penso - lo dimostra la fascinosa storia di quella napoletana – che un piatto possa essere rivisitato senza però stravolgerlo. Non amo, però, la creatività esasperata. É per me un assurdo, soprattutto quando si privilegia la forma a discapito della sostanza. L’impiattamento deve essere piacevole a vedersi, ma il cibo deve dare soddisfazione”.

Come fa a scrivere tanto e bene? Qual è il segreto?

“Nessuno, le assicuro. All’inizio mi sembra di perdermi, di camminare in una notte oscura. Di sprofondare nel caos. Poi, quasi per magia, nasce l’ordine e lavoro, serenamente concentrata. A volte, di notte mi viene in mente una idea, uno spunto ed allora – per paura di dimenticare – mi alzo ed annoto”.

Cosa fa quando è libera?

“Tra figli, nipoti, casa e scrittura ne ho davvero poco. Ho la fortuna di vivere a Posillipo, in un villino con giardino dove ho anche il forno per cuocere la ceramica. Ho seguito un corso per ceramisti ed ho impiegato un anno per fare trecento piatti tra fondi, piani e piccoli, ognuno con disegno diverso. Sa, allora era il tempo in cui organizzavo delle feste e così, invece di spendere soldi per servizi raffinati ma omogenei, ho preferito crearli io. Progetti? Un libro con Michelangelo, ultimo ed unico figlio maschio, come il padre medico ed appassionato cuoco: insieme vorremmo scrivere un libro su cucina e medicina. E poi terminare il nuovo libro sulla storia del pomodoro e riprendere, appena il covid-19 sarà un ricordo, i ‘Giovedì gastronomici’ che organizzo alla Libreria Vitanova, qui a Napoli. Piacevoli incontri dove condivido con il pubblico le mie riflessioni sul cibo”.

 

La pizza di crema e amarene di Lejla Mancusi Sorrentino

Ingredienti

Per la pasta frolla

  • 500 g di farina
  • 250 g di zucchero
  • 250 g di burro o margarina
  • 4 rossi d’uovo

Per la crema pasticciera

  • ½ l di latte
  • 4 rossi d’uovo
  • 200 g di zucchero
  • 100 g di farina
  • 1 limone non trattato (buccia)
  • 300 g di confettura di amarene
  • Zucchero a velo

Procedimento

Fate la pasta frolla impastando rapidamente tutti gli ingredienti senza lavorarli troppo. Lasciate riposare. Frattanto preparate la crema: montate i rossi con lo zucchero, incorporate la farina e diluitela con il latte bollente messo a riscaldare con due bucce di limone. Cuocete a fuoco lento, finché la crema non si addensi, rimestando continuamente. Togliete le bucce di limone. Con 2/3 della pasta frolla foderate una teglia del diametro di 25 centimetri. Stendete sul fondo uno strato di crema e poi uno di confettura di amarene. Coprite, quindi, con un disco ottenuto con la pasta frolla tenuta da parte. Fate aderire bene i bordi esercitando una leggera pressione con i rebbi di una forchetta. Cuocete in forno a 200 gradi per 45 minuti finché la “pizza” avrà acquistato un bel colore dorato. Fate raffreddare, sformate delicatamente e cospargete di zucchero a velo.