di Rocco Catalano
Elena Fucci a Barile, in uno dei paesi che meglio esprimono le caratteristiche dell’Aglianico del Vulture, ereditata la passione per la viticoltura dal nonno Generoso, si laurea in enologia, quindi si dedica anima e corpo al suo progetto di vita: costruire la sua cantina e produrre un vino di grande qualità.
Lavoro scrupoloso in vigna, entusiasmo generazionale, unito all’esperienza familiare, e diventa una delle più accreditate e apprezzate vignaiole del nostro panorama vitivinicolo.
Il suo Titolo, unica etichetta della cantina, per una produzione di circa 25.000 bottiglie su 6 ettari di vigneto, si fanno apprezzare per eleganza e carattere, è da anni tra i vini più premiati dalle riviste e dai giornalisti più importanti al mondo riscuotendo successi e premi (15 anni consecutivi i 3 bicchieri del Gambero Rosso, tra le migliori cento cantine Italiane secondo Wine Spectator). Lei, carattere forte, determinata, sempre molto schietta e vivace nei suoi eloqui persegue come fosse il primo giorno la sua missione senza abbandonarsi a facili compiacimenti.
La cantina completamente progettata seguendo i canoni della bio-architettura è perfettamente concepita e organizzata per il lavoro delle uve e per ospitare egregiamente degustazioni. Perfetta padrona di casa e capace ambasciatrice del territorio e di una civiltà contadina che dovrebbe essere patrimonio culturale in particolare del Sud.
Le vigne allevate in Contrada Solagna del Titolo, sicuramente una delle zone cru dell’areale del Vulture, godono dei favori di una esposizione particolare e restituiscono al suo Aglianico un carattere finemente fedele alle caratteristiche di un vitigno, tra le varietà a bacca rossa senza dubbio tra le più pregiate del panorama vitivinicolo del Sud e sicuramente italiane. Il Titolo 2018, figlio di un’annata fredda, è agile ed ha bella acidità, i tannini sono espressivi ma mai spigolosi o spugnosi.
Le spezie e la sapidità ne fanno un vino accattivante al palato e le nuance dei mirtilli, del ribes si uniscono a quello mentolato. Equilibrato, gustoso alla beva, il tempo gli sarà buon amico. Dal 2017 la novità della cantina è l’affinamento in Anfora di una produzione limitata a circa 900 bottiglie. Il Titolo Amphora (questo il nome) assaggiato è del 2018 e porta in petto i tratti di una stagione calda. Il colore è rosso rubino, al naso prevalgono le note balsamiche che aprono ai sentori più caratteristici della ciliegia e dei frutti di bosco. Quelli speziati e del cuoio aprono ad un sorso avvolgente, armonico, caldo. I tannini sono composti e la persistenza è buona. Il sorso invita al successivo con gustosa voluttà.
Con Elena abbiamo parlato di territorio, di futuro, e di questi suoi primi vent’anni (di vigna).
Il bilancio di questi vent’anni da vignaiola?
Sono stati anni bellissimi, intensi, ricchi di tante soddisfazioni. Non è stato facile, ma sapevo e volevo creare qualcosa d’importante, ho studiato molto e ho cercato di imparare quante più cose possibili. In questi anni è cambiato molto nel mondo del vino, in particolare nel Vulture ed io sono felice e onorata di averne fatto parte, e che un pezzo di questa storia mi appartenga.
Che cosa manca a questo territorio, secondo te, affinché possa affermare in maniera più decisa il suo peso specifico nel panorama vitivinicolo italiano e mondiale?
Forse ci manca semplicemente la consapevolezza. Ragionare in maniera organica tra operatori e fare in modo che Istituzioni, Scuole, tessuto produttivo possano sentirsi realmente orgogliosi di rappresentare un territorio così ricco e importante come quello del Vulture. Tutte le cantine ricevono durante l’anno diverse visite da importatori, giornalisti, appassionati da tutto il mondo, eppure sembra che questo flusso sfugga o attraversi il territorio senza legarsi a esso generando un concreto movimento turistico e, dunque, di un concreto sviluppo economico.
Che cosa faresti per aumentare e migliorare questa situazione?
Inizierei dalle scuole, perché credo sia giusto provare ad educare i nostri giovani ad un rapporto più sano col territorio, interpretandone le potenzialità, formandosi e lavorando in questa direzione. È necessario investire nella formazione di risorse umane e professionali in grado di soddisfare le richieste dell’indotto turistico derivante anche dal mercato del vino. Una maggiore conoscenza delle lingue, una strutturata capacità ricettiva, l’utilizzo delle nuove tecnologie per supportare in-coming e vendite, sono pilastri per me fondamentali per approcciare un percorso di sviluppo turistico.
L’Aglianico da qualche anno sta vivendo una rivoluzione. Diverse visioni, diverse interpretazioni, tutte molto interessanti. Eppure, a mio parere, è come se fossero tanti meravigliosi canti solitari. Cosa ne pensi?
In parte è vero, la sinergia di una squadra rende inevitabilmente più forte tutti. A maggior ragione se parliamo di produzioni piccole come quelle della Basilicata e nello specifico del Vulture. Ci stiamo provando, Generazione Vulture è un tentativo che va in questa direzione, la voglia e l’impegno a condividere percorsi, esperienze, visioni è il punto cardine di questo progetto. Ovviamente sarebbe interessante se riuscissimo, seppure nel rispetto delle individualità e delle caratteristiche di ciascuno, fare dell’Aglianico del Vulture un brand che valorizzi il terroir. Sarebbe più facile soddisfare le richieste del mercato proprio perché, come accennavi tu, in questi ultimi anni diverse visioni, interpretazioni, linguaggi, hanno arricchito il panorama vitivinicolo e produttivo dell’Aglianico del Vulture. Fuoco, Terra, Acqua. Il Vulture è un Vulcano che sa di cuore e di mosto. Il mio viaggio e il mio assaggio sono stati accompagnati dagli AC/DC, Back in Black. Prosit e Serenità.