Accursio Craparo

Accursio Craparo

di Fabiola Pulieri

 

A Modica c’è un ristorante dove si assapora una cucina matura e consapevole che non lascia nulla al caso, che suscita ricordi ed emozioni e lascia lo scorrere del tempo fuori dalla porta d’ingresso, tra le pietre di roccia calcarea nel vicoletto che dà accesso ad un mondo fatto di sapori e consistenze d’altri tempi. Da Accursio Ristorante si torna bambini e la memoria ripesca le sensazioni della cucina di famiglia, quella di Accursio Craparo, chef 1 stella Michelin, che accoglie i suoi ospiti con l’intento di avvolgerli in un abbraccio colmo di affetto. Dai pavimenti all’arredo, dalla scrivania anni ‘50 ai piatti che riprendono i motivi delle mattonelle fiorate, dalla musica ai lampadari, tutto è legato da un unico sentimento: l’amorevolezza di casa. Scendendo le scale per raggiungere la sala si entra in una stanza ampia che riproduce l’atmosfera in stile retrò di una abitazione di metà ‘900, dove ci si sente avvolti dal calore e dall’affetto di un pranzo in famiglia preparato dallo chef Accursio Craparo.

Quando è iniziata la tua passione per la cucina?

“Da sempre, dalla nascita! Sono figlio di contadini e il principale ricordo che ho di quando ero bambino era mio padre che tornava dalla campagna carico di verdure e ortaggi raccolti nell’orto. Papà faceva anche il vino e mia madre è stata la mia prima maestra in cucina, preparava spesso brodi cotti rigorosamente sul fuoco a legna il cui profumo inebriava tutta casa. Avevamo animali da cortile e uova fresche tutti i giorni. Per me è stato naturale scegliere l’istituto alberghiero per gli studi e oggi a distanza di trent’anni non mi sono mai pentito e sono ancora innamoratissimo del mio lavoro”.

Hai mai avuto momenti difficili lungo il tuo percorso e come li hai superati?

“Ho sempre pensato che per superare gli ostacoli sia necessario porsi degli obiettivi e raggiungerli, l’impegno, la determinazione e la soddisfazione danno la forza per andare oltre. Sin da ragazzo ho iniziato a fare le stagioni estive fuori per fare esperienza, finché ad un certo punto ho deciso di fermarmi e approfondire. Ho iniziato a mandare il mio curriculum a tanti ristoranti stellati e ho avuto la fortuna di approdare nella cucina de Le Calandre nel 2002 quando era ancora 2 Stelle Michelin e di prendere la terza stella insieme agli Alajmo e a tutta la brigata. È stata un’emozione grandissima che non dimenticherò mai!”

Altre esperienze importanti?

“Un’altra esperienza formativa che mi ha dato una grande visione d’insieme è stata quella con Pietro Leemann al Ristorante Joia a Milano, primo ristorante vegetariano a conquistare una stella Michelin in Europa. Lì ho capito che attraverso le verdure potevo raccontare di me più di quanto potessi fare con la carne o il pesce. Ho lavorato in tutti i reparti in cucina, ma ho completato la mia preparazione dagli Alajmo in pasticceria”.

E quando hai deciso di tornare in Sicilia?

“Dopo l’esperienza a Le Calandre ho sentito l’esigenza di rientrare nella mia terra, nel mio territorio di appartenenza e che dovevo approfondirne la conoscenza. Qui ho trovato ad aspettarmi un mentore che mi ha fatto scoprire una Sicilia che non ricordavo e non conoscevo. Corrado Assenza mi ha guidato attraverso percorsi fatti di gusto vero, reale e mi ha fatto apprezzare ogni singolo granello di terra, ogni singolo frutto e ogni filo d’erba che ho calpestato. Sono molto riconoscente all’uomo e al professionista meraviglioso che è Corrado. Oggi, oltre ad essere il mio migliore amico, è per me uno ‘zio’ che mi ha preso per mano e mi ha insegnato dialogo e sintonia del mio territorio”.

Come definisci la tua cucina?

“La cucina degli affetti e delle tradizioni. Ho unito quelle della mia Sciacca dove sono nato e cresciuto da ragazzo a quelle di Modica che è la città di mia moglie, dove vivo con la mia attuale famiglia. Per me ispirazione e sentimento camminano sempre mano nella mano”.

Qual è l’ingrediente al quale non potresti mai rinunciare?

“L’olio extravergine di oliva. Ne produco un blend tutto per me con un mio marchio e nel mio olio c’è la mia anima e quella dei miei piatti. Ho iniziato 6/7 anni fa con l’aiuto di un agronomo amico che mi aiuta a selezionare i prodotti migliori per le mie ricette e mi aiuta anche a fare l’olio. Ho alcuni piccoli produttori di riferimento che seguo tutto l’anno e quando è il momento di andare in frantoio assaggio e decido il taglio dell’olio che poi utilizzerò tutto l’inverno. Ovviamente ogni anno cambia a seconda dell’annata delle olive, ma è sempre composto da: nocellara del Belice, nocellara dell’Etna, verdese e moresca. È a mio uso e consumo e lo chiamo ‘l’olio delle due Sicilie’. In cucina uso anche la biancolilla, che è una cultivar più delicata, per le fritture o per preparare la maionese. L’olio extravergine è un alimento, complesso e meraviglioso”.

Il tuo piatto del cuore? Quello che ti rappresenta di più?

“I piatti della cucina italiana che amo profondamente sono: pane e olio e la pasta al pomodoro. Pochi ingredienti che sprigionano eccellenti sapori. I piatti che preparo io invece li considero tutti figli miei, quindi è difficile scegliere ma quello che mi rappresenta di più è sicuramente la spremuta di Sicilia. Ce l’ho in carta da quindici anni, concentro in un gomitolo di pasta tutti i profumi e i sapori della mia terra, le sensazioni forti che trasmette la mia isola e il sentimento profondo di rispetto per le radici racchiuso nella mia anima”.

Quanto è importante la Stella Michelin per un ristorante oggi?

“La stella è la conseguenza del nostro operato ed è una grande vetrina per noi chef. Ci aiuta a credere sempre fortemente in quello che facciamo e ci spinge ad andare oltre. È un grande stimolo e allo stesso tempo un sacrificio per mantenerla. Ma io credo che chi fa il nostro mestiere, a certi livelli, sa che è uno stile di vita non un lavoro altrimenti non sarebbe possibile continuare. Ci sono giorni in cui entro in cucina la mattina alle 8 ed esco all’una di notte, ma quando varco quella porta per me si ferma il tempo e penso solo a rendere felici coloro che sono seduti ai miei tavoli, non penso ad altro. Poi però è fondamentale ritagliarsi del tempo per sé e la propria famiglia e riuscire a conciliare il tutto, si può fare!”

Dove ti vedi tra dieci anni? Dove sarai o vorresti essere?

“Tra dieci anni spero di vedere realizzato un progetto a cui penso già da un po’. Spero di essere in campagna con la mia famiglia in un grande casale a contatto con la natura. Il mio sogno è tornare a vivere e lavorare circondato da animali da cortile e orto, da alberi e profumi, aprire un ristorante dove fare da mangiare con prodotti raccolti poche ore o pochi minuti prima, ‘dal produttore al consumatore’, con camere per gli ospiti, accoglienza e tutto ciò che veramente ci rende felici: la semplicità”.